Quando
la poesia non si perde nei meandri intimistici del proprio io
Martedì
18 Agosto, alle ore 18 del pomeriggio, a Bella, paese lucano, la
bibliomediateca dell' istituto comprensivo ha ospitato un pubblico gentile,
sensibile alla magica atmosfera della “parola alata” e all’armonia del verso
che solo la poesia riesce a creare anche in tempi così caotici e frenetici come
questi che stiamo vivendo.
La
presentazione del testo di poesia “Il Fiore della meraviglia” di Florenzo Doino
ha visto la presenza di persone del posto e venute da fuori, anche personaggi
noti, che per quanto degni di stima, preferisco non citare per non rischiare di
contribuire anch’io ad alimentare il culto della personalità in tempi come
questi, di massificazione mediatica da una parte, e di liberismo dall’altra. Al
contrario, Florenzo Doino, persona umile e altruista, non è e non vuole essere
un leader, nonostante le sue doti eccezionali che gli hanno consentito di
coniugare insieme più attività. Infatti egli è un bravo medico insieme alla sua
compagna Maria, e segretario regionale del Partito Comunista dei Lavoratori,
protagonista di tante lotte dalla parte dei più deboli e del popolo per la conquista
o la difesa dei loro diritti, e ora anche poeta, visto il bel libro pubblicato.
Queste molteplici attività non gli hanno impedito di crearsi una bella famiglia
e di coltivare gli affetti familiari. Chi conosce Florenzo Doino sa quanto
entusiasmo, quanta determinazione e quanto amore, mette in ogni attività,
compresa quella di poeta e di scrittore anche quando essa non è remunerativa.
Penso che Florenzo Doino scriva per diletto e per intessere relazioni umane e
culturali dialogando con chi è disponibile al confronto a distanza su temi
attuali o di natura esistenziale. E infatti la poesia di Florenzo Doino non si
perde nei meandri oscuri del proprio egotismo e del proprio solipsismo, come
quella di molti poeti attuali, che consumano la propria esistenza alla ricerca
di un equilibrio esterno ed interno e di una meta che mai trovano e non sanno
darsi, ma è la poesia di una persona sensibile, che anche da “esule in patria”,
come egli ama definirsi in una delle sue liriche, non cessa di guardare al
mondo esterno, agli altri, e ai loro problemi reali, di “spiare” nei loro
vissuti, spinto da una sympatheia tutta umana, dal prendersi cura dell’altro,
dalla compartecipazione ai drammi e al dolore di un’umanità marginale e offesa
ogni giorno dall’egoismo e dall’indifferenza dei più. Chi ama curare
individualisticamente il proprio orticello o inseguire sogni plutocratici e
neoliberisti non sa più guardare al mondo esterno e agli altri con l’ottica di
Florenzo Doino e cioè con l’intento di riannodare i fili recisi dell’antica
filìa e di ritrovare quell’equilibrio armonico con sé stesso, con gli altri, e
con l’ambiente, senza il quale alcuna eudemonia è possibile. Quest’ottica tutta
umana, troppo umana, traspare nelle sue poesie. Ad esempio, leggendo la lirica
“La Colonna”, si snoda davanti ai nostri occhi una fila di migranti, cioè
un’umanità dolente che porta sulle spalle il peso di una storia di soprusi, di
sofferenze, di sfruttamento, colonialista prima, neocolonialista dopo e che si
arresta alla porta dei dominatori e sfruttatori dicendo: “questa è anche casa
nostra”. In “Migranti” troviamo persone indurite nell’animo dall’indigenza e
biascicanti parole menzognere alla ricerca di un riscatto che si illudono
arrivare presto, mentre in “Promessa” si legge l’amara delusione di chi,
attratto da visioni mediatiche paradisiache, superata con infinite difficoltà i
marosi, trova nuove prigionie.
La
poesia di Doino, se per poco indugia su squarci paesaggistici rassicuranti,
legati alla sua infanzia e al suo vissuto, ci riporta subito ad altre memorie e
crude realtà quali quelle dei minatori sepolti vivi “senza fiori e senza requie
/ nelle viscere del mondo” a Durban, a Potosì, a Marcinelle, a Monongah. Altre
poesie richiamano alla mente un passato che è ancora presente quale, quello
dell’uccisione di Federico Aldovrandi da parte di poliziotti assassini bramosi
di torture letali che solo la verità sociale ha potuto smascherare e vendicare.
La poesia, dedicata a Mariem, incatenata dal fanatismo religioso dei “mercanti
del tempio” e poi liberata da chi ha lottato in nome dell’Umanità e per la
Libertà, aggiunge un altro tassello alla storia di lunga durata delle
persecuzioni di carattere religioso e di ottundimento della ragione che
caratterizza il fanatismo di ieri e di oggi, sicché con Lucrezio possiamo
ancora dire “Tantum religio potuit suadere malorum”.
Eppure,
di fronte a tante ingiustizie, causa principale del dolore del mondo, come già
detto, non aleggia mai nella poesia di F. Doino il pessimismo e la
rassegnazione, ma la fiducia e la speranza di un riscatto rivoluzionario di cui
l’Umanità sarebbe già gravida. Il tempo per Doino renderà giustizia ai
galantuomini e brucerà ogni menzogna. Fortunati sono coloro che sanno
pazientare e sanno aspettare fino a “gustare i frutti copiosi e saporiti dei nuovi alberi” alberi, come
auspicato nella poesia “Forza”. Altre liriche di carattere soggettivo, rivelano
una personalità fiera, sdegnosa, tenace che “le stoltezze vergate” sulla sua
persona dai suoi avversari non cura. Egli stesso si autodefinisce un somaro che
lavora e va diritto alla meta, lungo la strada battuta, sferrando calci ai
“lupi seccanti”, detestando i servitori, gli adulatori, le solennità e
rifugiandosi, non nella solitudine del proprio io come molti farebbero, ma
nella solitudine dei giusti. Che dire? Il video proiettato in biblioteca
durante la presentazione del testo poetico a testimonianza delle sue lotte
politiche e sociali e la lettura del testo, anche per chi non avesse avuto il
piacere di conoscerlo prima, possono bastare per avere il quadro a tutto tondo
della bella persona di Florenzo Doino, del professionista serio, del compagno
coerente e combattivo, del padre e sposo amorevole del poeta colto e
perspicace, che ben padroneggia la parola e si serve della poesia non per
autocompiacimento e notorietà ma per testimoniare la sua presenza nel mondo
come presenza utile ad altri più che a sé, perché prova a squarciare il velo
dell’indifferenza e dell’ipocrisia, per ricostruire insieme agli altri un mondo
migliore.
Rosetta
Santaluce